Acqua, ricerca e futuro: la sfida per un bene universale

L’acqua è una risorsa preziosa e strategica, al centro delle sfide legate alla salute pubblica, ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità ambientale. Per fare il punto sullo stato delle risorse idriche in Italia e sulle prospettive future, abbiamo intervistato Luca Lucentini, Direttore del Reparto di Igiene delle Acque Interne dell’Istituto Superiore di Sanità, che ci ha raccontato come ricerca scientifica, nuove tecnologie e collaborazione tra istituzioni possano garantire qualità e sicurezza a un bene fondamentale per tutti.

Dottor Lucentini, qual è oggi lo stato di salute delle risorse idriche in Italia e quali sono le principali criticità che l’Istituto Superiore di Sanità rileva nella gestione delle acque? 

I dati più recenti, raccolti nel 2023 e relativi al triennio precedente, ci restituiscono un quadro complessivamente positivo. A livello nazionale, oltre il 99,1% dei campioni è risultato conforme ai parametri di sicurezza chimica e microbiologica, con un valore comunque elevato – poco inferiore al 98,4% – anche per i parametri cosiddetti indicatori, che pur non avendo impatto diretto sulla salute, segnalano possibili variazioni di qualità da approfondire.
Dietro questa media molto alta si nascondono però differenze significative: in alcune aree, soprattutto del Sud come Sicilia e Calabria, le criticità riguardano non solo la qualità ma anche la continuità del servizio. Ricordiamo che l’acqua potabile è un diritto universale e ciò significa garantire accessibilità, qualità e costi sostenibili per tutti i cittadini.

 

Quale ruolo giocano oggi la ricerca scientifica e le nuove tecnologie nel migliorare la prevenzione e la gestione del rischio idrico?
Un ruolo decisivo. La direttiva europea del 2020, recepita in Italia nel 2023, introduce per tutti i gestori l’obbligo di adottare entro il 2029 i Piani di Sicurezza dell’Acqua. Questi piani spostano l’approccio da un controllo retrospettivo a una visione preventiva: significa anticipare i rischi prima che si manifestino.
In quest’ottica, le nuove tecnologie analitiche sono decisive: sensori in continuo, sistemi di “early warning” e videosorveglianza permettono di rilevare precocemente cambiamenti nella qualità. Anche l’intelligenza artificiale sta entrando in gioco, perché consente di integrare fonti di dati molto diverse – dalle pressioni ambientali ai reclami dei cittadini, fino alle osservazioni degli operatori – e trasformarle in strumenti concreti per la prevenzione e la gestione del rischio idrico.

 

Il cambiamento climatico e gli eventi estremi stanno incidendo sulla disponibilità e sulla qualità delle acque: quali strategie ritiene prioritarie per affrontare queste sfide?
Gli investimenti in corso, ad esempio quelli previsti dal PNRR per il settore idrico, sono fondamentali. Ma da soli non bastano: serve un vero cambiamento di sistema. Oggi spesso mancano coordinamento e sinergia tra i diversi attori. Può accadere che un gestore idrico non sia nemmeno informato della costruzione di un nuovo invaso che potrebbe migliorare la resilienza del suo sistema. Per affrontare le sfide poste dal clima, dobbiamo evitare queste asimmetrie istituzionali e favorire un dialogo strutturato tra enti pubblici, gestori e ministeri.

In questo senso, come si possono rafforzare le sinergie tra istituzioni e gestori?
Una risposta concreta viene dal Protocollo “Acqua e Salute” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle Nazioni Unite. Questo strumento prevede che gli Stati si impegnino a definire obiettivi comuni – dall’accesso all’acqua potabile alla depurazione, fino alla gestione delle acque reflue e di balneazione – e a rendicontarne i risultati ogni anno.
L’Italia è in fase di ratifica del Protocollo, che porterebbe alla creazione di una piattaforma nazionale in cui tutti i soggetti competenti possano confrontarsi e coordinarsi. Sarebbe un passo decisivo per superare frammentazioni e assicurare che gli sforzi, già notevoli, siano indirizzati dove servono di più.