Le calde estati degli ultimi anni sottolineano l’esigenza di una gestione sempre più integrata e attenta delle risorse idriche. Con Stefano Tersigni, Primo ricercatore – Istat, abbiamo fotografato il mondo dell’acqua per uso civile in Italia tra governance, infrastrutture e cambiamento climatico.
Si parla sempre più di aggregazioni nel settore delle utility. Qual è, ad oggi, lo stato dell’arte nell’ambito dell’idrico?
L’Istat ogni due anni svolge il Censimento delle acque per uso civile, con il quale acquisisce informazioni di dettaglio su tutta la filiera dei servizi idrici dal prelievo di acqua potabile alla depurazione delle acque reflue urbane. L’ultima edizione è riferita all’anno 2022.
Da questa rilevazione risulta che in Italia i gestori dei servizi idrici sono circa 2.100, di cui l’80% sono enti locali (soprattutto comuni) che gestiscono il servizio in economia. Da specificare che comunque i gestori specializzati controllano la gran parte dei servizi idrici in termini di comuni serviti, infrastrutture e acqua movimentata.
Teniamo conto che nel 1999 i gestori complessivamente in Italia erano più di 8.000; la legge Galli del 1994 sta avendo i suoi effetti, anche se con molto ritardo in alcune aree del Paese.
Vorrei, poi, aggiungere una riflessione di ordine generale. Probabilmente, il dibattito sul tema dell’acqua pubblica e il connesso referendum, di cui oggi non si parla più, ha portato ad un rallentamento del “processo di industrializzazione” dell’acqua, e quindi al passaggio da una gestione in economia ad una gestione che potremmo definire “specializzata”.
Da un punto di vista infrastrutturale cose emerge dalle vostre ricerche?
Sempre in relazione al Censimento delle acque per uso civile dell’Istat del 2022, un indicatore che ci aiuta a capire lo stato dell’arte delle infrastrutture idriche è quello sulle dispersioni delle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile.
In Italia, la dispersione tra l’acqua immessa nella rete di distribuzione del comune e quella che poi viene erogata, si attesta al 42,4%; complessivamente in leggero aumento rispetto al 2020. La fotografia è molto variegata: in Piemonte le perdite totali in distribuzione sono al 35,4%, in Abruzzo superano il 60%. Il dato è sensibilmente migliore nelle grandi città; nei capoluoghi di provincia e città metropolitana le dispersioni sono più basse e pari al 35,2%.
In generale, tuttavia, è evidente come per mantenere i nostri consumi siamo costretti a mettere nelle condotte quasi il doppio dell’acqua.
Per l’analisi delle perdite di rete è importante prendere in esame diversi indicatori, tra i quali anche quello delle perdite Lineari in distribuzione. Le dispersioni sono infatti proporzionali alla lunghezza dell’infrastruttura e al numero degli allacci: nel 2022, nei capoluoghi di provincia e città metropolitane, c’è stata una perdita giornaliera per chilometro di rete di distribuzione (con l’esclusione delle condotte di allaccio) pari a circa 40 metri cubi (41 nel 2020). Si evidenzia che non è ancora disponibile un’informazione completa e comparabile su tutti comuni italiani.
Per quanto riguarda i prelievi per uso potabile, il valore è più o meno costante da diversi anni: stiamo parlando di 9,1 miliardi di metri cubi prelevati, che corrispondono a circa 424 litri per abitante al giorno.
Su base europea, siamo il terzo Paese in ordine di prelievi pro capite per uso potabile, fino a qualche anno fa eravamo i primi.
Come si collega il dato infrastrutturale con quello dei cambiamenti climatici che ci porta ogni anno a prestare la massima attenzione all’approvvigionamento idrico?
Partirei da un dato generale: in questi ultimi vent’anni si è notata una riduzione delle precipitazioni. Nel 2022, a livello nazionale, circa il 20% del territorio italiano è stato soggetto a condizioni di siccità.
Il 2022 è stato un anno siccitoso. In Piemonte si è registrato un deficit di precipitazioni di circa il 50%. In quell’anno, infatti, il problema della siccità è stato particolarmente acuto nel Nord-ovest, in particolare nel bacino del Po. La riduzione delle precipitazioni, ma soprattutto l’aumento delle temperature, comportano una riduzione delle risorse idriche disponibili.
In verità, non siamo ancora a livelli critici. In questo momento, poi, la situazione è cambiata: il problema riguarda maggiormente il Sud e le isole.
Quindi, se da un lato il cambiamento climatico sta presentando sempre nuove sfide ai gestori, dall’altro le criticità connesse alla dotazione infrastrutturale creano il disservizio finale ai cittadini.
Infatti, nel 2022, circa il 10% delle famiglie lamentava irregolarità nel servizio di erogazione di acqua. Un 10% non distribuito uniformemente in Italia ma con particolari concentrazioni nel Sud e nelle Isole, con i valori più alti in Sicilia (30% di famiglie) e in Calabria (quasi al 40%).
Come Istat, per monitorare l’impatto dei cambiamenti climatici sulla disponibilità e gli usi delle risorse idriche e valutarne gli effetti sulla popolazione e sulle attività economiche, lo sforzo che stiamo facendo è quello di acquisire informazioni sul settore idrico con un dettaglio territoriale sempre più fine, nonché un riferimento temporale sub-annuale (mensile, stagionale, ecc.), dal momento che molti fenomeni connessi ai cambiamenti climatici hanno maggiori ricadute in alcuni mesi dell’anno e in alcune aree del territorio.